«Vogliamo parlare di Bibbiano. Da settimane i "fatti di Bibbiano", veri o presunti - le indagini sono in corso - suscitano commenti, prese di posizione, manifestazioni di piazza che impongono profonde riflessioni».
Inizia così una lunga note dell’UDI (Unione donne in Italia) di Modena sui fatti di Bibbiano esull’inchiesta "Angeli e Demoni". «L’inchiesta, coordinata dalla Sostituto Procuratore di Reggio Emilia, Valentina Salvi, è lungi dallasua conclusione e sta coinvolgendo tutta la filiera della tutela della salute familiare e dellaprotezione dell’infanzia e dell’adolescenza e l’onda emotiva che ne è scaturita ha travolto tutto ilPaese, ma soprattutto la nostra Regione, innescando anche - o forse innescata a sua volta (da) - una poco edificante speculazione politica. Ci siamo chieste se, proprio per questo, non fosse meglio tacere, visto che già tanto abbiamo detto sulla collaterale questione della PAS, inesistente"Sindrome da alienazione parentale", perno del tragico DDL Pillon, con la quale nei tribunali,complici le relazioni di taluni psicologi e assistenti sociali, in questi anni si sono sottratti figli allemadri denuncianti violenze familiari».
«Tutto questo ci impone una doverosa cautela - prosegue la nota UDI - ed una altrettanto doverosa attesa nel rispetto delleindagini, senza negare o minimizzare né la gravità di fatti che, se anche fossero confermati solo inparte, rimarrebbero un’offesa alla coscienza del Paese, né la gravità anche solo del sospetto,trattandosi di servizi delicati, indispensabili ad una comunità civile e appartenenti a quel "SistemaEmilia" di cui continuiamo a voler essere fiere.
La Regione Emilia Romagna ipotizza di dichiararsi parte lesa nel percorso giudiziario volendo, dauna parte, rimarcare la condanna di ciò che sta emergendo laddove fosse giudizialmente accertato,dall’altra, difendere il lavoro importante, fondamentale e nel rispetto dei minori e dei loro genitorisvolto da tante operatrici ed operatori dei servizi e di quanti si spendono quotidianamente nellacura, nella protezione e nell’accoglienza.Non potrebbe essere altrimenti. Questi servizi sono, e sono sempre stati, all’avanguardia e sirelazionano con una invidiabile rete di asili nido e scuole per l’infanzia conquistati, a partire daglianni settanta, con un ruolo determinante dell’UDI unito ad un forte movimento di donne, di madri edi genitori.Questa azione, che ha inciso sulle scelte delle istituzioni, fin dall’inizio poggiava sullapartecipazione, e Il passaggio dai Comitati di Lotta alla Gestione Sociale, passaggio conseguenteritenuto indispensabile, lo dimostra. Una rete di relazioni che teneva insieme Istituzioni, operatrici edoperatori, movimento delle donne, cittadine e cittadini che ha arricchito di una consapevolezzastraordinaria intere generazioni che ancora oggi si riconoscono in questo metodo di "azione peravere i servizi" e impegno per contribuire alla loro valorizzazione, monitoraggio, gestione.Per noi dell’UDI il punto fondamentale è proprio questo.
Che cosa è oggi questa relazione? Come incide sui servizi stessi? Se non vogliamo essereschiacciate dalla propaganda è necessario ripartire da noi, dalle nostreresponsabilità, ma non sulla difensiva perché abbiamo ancora legami forti con le donne e fra ledonne.Ognuno/a ha un ruolo che rispettiamo e allo stesso tempo sentiamo che anche noi, cittadine ecittadini, dobbiamo riprendere in mano una pratica che ci ha visto lavorare insieme, in modocollettivo non cedendo alla tentazione di delegare sempre. È una pratica che ci ha fatto crescere eprodurre servizi, contenuti educativi e culturali che ci invidiano in tutto il mondo! Un attaccogeneralizzato al "sistema Emilia" lo può fare solo chi non conosce come si è costruita questa politicasociale e culturale. È stata una conquista partita dalle esigenze delle donne e dei bambini.
Nonregali della politica, - afferma L?UDI modenese - ma conquiste ottenute con azioni grandi, unitarie e continuative. Un esempioattuale potrebbe venire dalla campagna, promossa dall’UDI, ’ADESSO BASTA’. Le UDI dell’EmiliaRomagna (insieme con la CGIL) hanno proposto alla Regione di analizzare il funzionamentoorganizzativo dei Consultori Familiari, partendo dalla esperienza e dai bisogni di chi ci lavora(professionisti/e) e di chi li frequenta (utenti). Un lavoro di due anni (2017-2018), ricco, articolato indiverse città.L’intento è quello di determinare, per servizi così importanti come quelli consultoriali, una possibileevoluzione nel rapporto aspettative/bisogni, puntando proprio sull’elaborazione ed esperienzacollettiva ed integrata.Questa modalità, questa intenzione, questo valore dato alle relazioni utenti/servizi, deve valereanche per i Servizi sociali. Riconosciamo la delicatezza degli interventi, ma non vi è delicatezza ospecificità che possa giustificare una carenza di verifiche e l’isolamento dal contesto collettivo.
Apartire dunque dai fatti di Bibbiano, chiediamo una riflessione attenta su quello che è l’attualesistema dei servizi sociali in termini di tutela, prevenzione e sostegno ai minori e alle famiglie indifficoltà, un sistema cresciuto negli anni, ma con tutta evidenza, ancora problematico. Serviziindispensabili che però possono funzionare solo nella misura in cui si collochino al di sopra di ognisospetto.
A tal fine diciamo:
- Sarebbe necessario disporre di dati reali di fonte ministeriale, o comunque istituzionale, sul numero dei minori allontanati dalle famiglie, monitorati con una frequenza di gran lunga maggiore di quella odierna, con un aggiornamento costante. Per fare un esempio: l’ultima indagine condotta sugli affidamenti familiari e i collocamenti in strutture, è stata pubblicata nel 2018 e verte sulla situazione al 31/12/2016, mentre l’ultima relazione dettagliata si data al dicembre 2017 e si riferisce al biennio 2014-2015.
- Ulteriore elemento di trasparenza potrebbe essere l’introduzione di un elenco unico, su scala nazionale, delle famiglie affidatarie e delle strutture di accoglienza. Al momento invece, in ambito privato, esistono albi di associazioni di famiglie affidatarie cui le famiglie interessate possono iscriversi, mentre in ambito pubblico, ogni realtà territoriale ha, quando previsto, un suo elenco di riferimento.
- Sarebbe necessario anche un database nazionale di tutte le strutture abilitate alla ricezione dei minori, siano esse laiche o religiose. Dal 2018 esiste un elenco aperto del Ministero della Giustizia, al quale possono registrarsi tutte le strutture che abbiano interesse a collaborare con il Ministero e che viene aggiornato semestralmente. E le altre?
- Colpisce il numero elevato delle strutture di accoglienza presenti sul territorio nazionale soprattutto in alcune regioni. Nell’affidamento familiare i numeri più elevati sono riscontrati nel centro e a nord del Paese, mentre i valori più bassi sono stati rilevati in Abruzzo, Molise, Provincia di Trento, Calabria e Campania. Tendenza per certi aspetti inversa per le strutture di accoglienza: valori più alti d’accoglienza sono nel Molise, Liguria, Provincia di Trento. Di contro, dall’elenco del Ministero di Giustizia, nella sola Lombardia si contano ben 107 strutture, seguita dalla Sicilia, 77, e da Campania e Puglia rispettivamente con 55 la prima e 54 la seconda. Questa disomogeneità va monitorata, interpretata.
- Manca omogeneità anche nei servizi, nei protocolli d’intervento, nelle pratiche di prevenzione e in generale nelle politiche per la famiglia promosse sui singoli territori. Pur esistendo linee di indirizzo ben definite, ogni regione, provincia e comune, dal punto di vista delle risorse, delle azioni, dei percorsi, dei servizi e dell’organizzazione degli stessi, è a sé stante.
- Mancano dati dettagliati per le situazioni di accoglienza di minori - non necessariamente titolari di un provvedimento di tutela emesso dall’autorità giudiziaria - in strutture non ad uso esclusivo del target minorile, in compresenza di uno o di entrambi i genitori. Nella maggior parte dei casi si tratta di alloggi sociali, pensionati, alberghi popolari, case rifugio e centri antiviolenza per donne maltrattate, ma i dati sono omnicomprensivi. Al 31/12/2016 se 12.603 erano stati i bambini e ragazzi0-17 anni accolti nei servizi residenziali per minorenni e 1.970 nelle stesse strutture, ma insieme ai genitori maggiorenni, ben 2.860 erano stati quelli accolti con genitori maggiorenni in altri servizi residenziali. Sospendendo per un istante il giudizio sull’idoneità di queste strutture, sarebbe interessante sapere innanzitutto il numero delle sole madri coinvolte.
- In merito alle motivazioni di allontanamento dei minori, ci sembra preoccupante che la prima in assoluto, pari a un quarto dei casi, sia quella dell’inadeguatezza genitoriale, ovvero di incapacità educativa dei genitori. Ancora più preoccupante perché, stando alla cronaca, spesso sono le donne ad esserne accusate. Mancano però dati anche parziali che permettano una lettura degli stessi in un’ottica di genere, pur a fronte di numerose denunce in questo senso, tali da sentire ormai parlare da più parti di violenza istituzionale.
- È evidente che là dove si sia invocata la "Sindrome da alienazione parentale" per togliere minori,soprattutto a madri denuncianti violenze domestiche, si sia in presenza quasi certamente di un abuso, dal momento in cui detta Sindrome non ha alcun riconoscimento dalla comunità scientifica.UDI è in prima fila nel chiedere che sia bandita dai tribunali e che non possa essere utilizzata da psicologi, assistenti sociali o altri specialisti come possibile interpretazione del disagio/rifiuto mostrato da un minore verso un genitore: una simile manifestazione va analizzata e valutata inmodo approfondito e senza attingere a modelli che non sono altro che il frutto di pregiudizi.
- Potrebbe servire prevedere l’obbligo di videoregistrazione di tutti gli incontri tra operatori dei servizi sociali e famiglie prese in carico, come doppia protezione e garanzia sia nei confronti delle famiglie stesse che nei confronti dell’operatore e dell’operatrice. Legittimare l’eventuale presenza agli incontri di consulenti nominati dai genitori stessi con facoltà per gli stessi di acquisire tutto il materiale in possesso del Servizio. Garantire che gli operatori che iniziano ad occuparsi di un minore e della sua famiglia restino gli stessi sino al termine dell’incarico.
- Più in generale: la frammentazione che caratterizza il modo di funzionare dei servizi; le differenzetra sistema giudiziario e sistema dei servizi; l’assenza di un approccio globale e collettivo aiproblemi; le diverse chiavi di lettura dovute a percorsi formativi diversi o per una totale assenza diformazione e/o aggiornamenti adeguati; i tempi diversi a seconda che si parli di minori, famiglia,autorità giudiziaria e servizi e l’inadeguatezza degli stessi allorché si tratti di tenere conto perdavvero dei bisogni dei minori e delle famiglie; disequilibrio tra mandati professionali, mandatiistituzionali e mandati sociali, sono tutti aspetti su cui sarà importante una riflessione condivisa.
- Vi è, infine, la necessità di ristabilire un rapporto di fiducia tra i cittadini e gli organi giudiziari, iservizi sociali, le diverse figure professionali preposte a questi ambiti, le famiglie affidatarie e lestrutture d’accoglienza. Per fare ciò, è necessario che ogni attore eviti confusioni di ruoli eabbandoni qualsiasi stigmatizzazione, pregiudizio, isolamento professionale, autoreferenzialità,unendo al contempo una comunicazione e un ascolto più efficaci».